Ultimo aggiornamento: 29/09/2004

 
Sezione curata da Maria Giovanna Melis
Questo testo mi è stato segnalato da Alberto Capitta, padre di due splendidi bambini, Linda e Martino, che frequentano rispettivamente la seconda e la prima classe primaria.
Alberto Capitta è nato a Sassari dove vive e lavora. Dal 1981 si occupa di teatro di ricerca. E’ co-fondatore, con Elda Broccardo, di ‘Ariele Laboratorio’ nel cui ambito svolge attività di autore, attore e regista. E’ autore di numerosi testi teatrali, collabora con la pagina culturale del quotidiano La Nuova Sardegna e svolge attività didattico-teatrale in forma privata e nella scuola pubblica. Ha pubblicato due romanzi: ‘Il cielo nevica’ (Guaraldi, 1999) e ‘Creaturine’ (Il Maestrale, 2004). Il libro che segnala e commenta è:
Jerzy Grotowski, “Per un teatro povero”, Bulzoni, 1970
“La mia esperienza personale nel teatro mi porta a citare questo testo fondamentale per calarsi nella materia. L’insegnamento di un uomo che ha sovvertito le leggi della scena creando i presupposti per la ricerca di una nuova necessità nel teatro: il corpo messo a servizio della mente e viceversa. E, al centro, il laboratorio: il laboratorio è tutto per l’attore, è allenamento, tecnica, è il raggiungimento e il superamento della frontiera, oltrepassata la quale si apre un paesaggio prenatale, sconfinato, certamente parateatrale. Un territorio vasto ed inesplorato, le cui leggi sono ancora da stabilire, i cui confini mancano, le cui verità nascono dall’azione stessa dell’attore. Una pratica estrema che ha portato almeno due generazioni di attori a confrontarsi col fascino e col rischio di un’espressività talmente limpida e sincera da rendere quasi superflua la rappresentazione scenica.
Perché questo alfine è “teatro povero”, teatro povero di finzione, di maschere posticce, di artifizi, di fronzoli, un teatro di attori spogliati della loro superficie il cui unico fine è quello di proiettarsi al di là dello spettacolo, verso un atto di verità totale, verso quel folgorante paesaggio fatto di luci interiori, di grazia, di sentieri sconosciuti, in cui ci si addentra seguendo le lezioni del ‘teatro povero’ di Grotowski”.
 

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