Ultimo aggiornamento: 24/06/2004 |
Sezione curata da Maria Giovanna Melis |
Minnia Cargiaghe, che
ringrazio per gli interessanti inserimenti, segnala: Célestin Freinet "La scuola del fare. I Principi", a cura di Roberto Eynard - Volume primo - Emme edizioni 1978 Dalla Nota introduttiva: “Presentare oggi un testo antologico di Freinet può sembrare anacronistico ed inutile; anacronistico, perché si tratta di recuperare un materiale che ormai conta alcuni anni, superato da nuove e più recenti esperienze condotte proprio in seno ai gruppi di operatori scolastici preconizzati da Freinet; inutile, in quanto le pubblicazioni di e su Freinet sono numerose anche in Italia, tanto da garantire una sufficiente divulgazione di alcuni principi ormai assunti e fagocitati dalla pedagogia ufficiale. A queste obiezioni si può rispondere osservando come sia sempre salutare ritornare, dove si può, alle fonti del pensiero, viste le mistificazioni, le deviazioni e le <<riduzioni>> che, proprio per quanto riguarda Freinet, si sono fatte, più o meno volutamente”. Educazione e vita, pag. 7 “L’uomo cresce, si sviluppa, progredisce e tende verso il suo <<potenziale massimo di vita>>, grazie alla spinta che gli dà quella forza – la <<potenza>> - che è dentro ad ogni essere vivente. La personalità individuale deve essere considerata come una unità dinamica tesa alla sempre migliore realizzazione di sé. Le condizioni ambientali di vita possono costituire un ostacolo, un freno alla realizzazione dell’io ma, contemporaneamente, agiscono anche da stimolo e da propulsione. La dialettica esistente fra individuo e ambiente è una delle preoccupazioni costanti di Freinet, un tema ricorrente in tutta la sua riflessione ed un motivo della sua attualità. L’unità della personalità viene riaffermata anche nel rifiuto di ogni dualismo psicofisico; non esiste nell’uomo una soluzione di continuità tra il livello biologico e quello spirituale per cui, se esiste una differenza fra l’uomo e l’animale, essa vale soltanto in rapporto ai ritmi e ai gradi evolutivi. Pertanto, nell’educazione occorre partire dai bisogni fisiologici, nei quali è già possibile scorgere anche gli altri bisogni, <<compresi i nostri bisogni di cultura>>. Senza redigere un vero e proprio elenco –gerarchicamente ordinato- di bisogni, Freinet pone subito in risalto (prescindendo dal primo periodo di vita, quando dominano i bisogni di alimentazione e di difesa) il <<bisogno infinito di procedere mediante tentativi>>, alla perenne ricerca di soddisfare la curiosità insaziabile che caratterizza l’essere. Lo stesso presupposto qualifica ed informa l’intervento educativo, che deve essere proteso a lasciare che la vita sbocci e fiorisca. Certo, è facile constatare come la realtà spesso interferisca in questo processo naturale e produca uno squilibrio fra quella che è la tensione individuale e quelli invece che sono i risultati conseguiti. Come già diceva Claparède, ogni organismo vivente, <<tosto che il suo equilibrio interiore (fisico-chimico) sia rotto, e incominci a disgregarsi, effettua gli atti necessari al suo ristabilirsi. E’ ciò che i biologi chiamano “autoregolazione”… Ogni reazione, ogni comportamento, ha sempre per funzione il mantenimento, la preservazione, o la restaurazione dell’integrità dell’organismo… La rottura dell’equilibrio in un organismo è ciò che chiamiamo bisogno>>. Quando l’equilibrio si rompe o l’istinto, quell’arma sicura e infallibile che ogni specie vivente possiede, non serve più, allora l’individuo deve fare ricorso ad una nuova tecnica di vita: il “tatonnement”. (…) che è l’elemento qualificante ogni azione non istintiva, tant’è vero che il comportamento intelligente è proprio quello in cui un individuo sa fare tesoro delle esperienze vissute e applicarle ai nuovi contesti esistenziali. L’educatore (o il genitore) che non tenesse conto di queste esigenze primarie, di questi processi vitali fallirebbe decisamente. Chi dimenticasse lo slancio creativo dell’individuo o il suo bisogno di provare strade e metodi nuovi quando quelli vecchi si dimostrano superati o inefficaci rischia di fare come il famoso contadino inesperto de “I detti di Matteo”, che vuol fare bere al cavallo quando questo non vuole perché non ne sente il bisogno. Spesso, la scuola pretende di far bere l’acqua di cui il ragazzo non ha bisogno; soprattutto, pretende l’astrattismo, il verbalismo, la passività; esigendo <<silenzio, impersonalità delle lezioni e dei compiti, soppressione sistematica di ogni contatto con la vita naturale e familiare>>, essa riesce a togliere al bambino <<il gusto dello studio, ne soffoca il desiderio di conoscere, distrugge la sua sana curiosità>>.” |