Ultimo aggiornamento: 26/06/2005

 
Sezione curata da Maria Giovanna Melis

Ringrazio con affetto Elda Broccardo che mi ha segnalato questo testo, inviandomi anche la sua seguente recensione, che accompagna con una significativa frase di Marguerite Yourcenar, 1951: 

 

"Fondare biblioteche, è come costruire ancora granai pubblici, ammassare riserve contro un inverno dello spirito che da molti indizi, mio malgrado, vedo venire".

 

Alice Miller

“IL DRAMMA DEL BAMBINO DOTATO E LA RICERCA DEL VERO SÉ”

Riscrittura e continuazione

Bollati Boringhieri,2004 - € 18 – pgg 130

 

Genitori, educatori, udite udite:

“Come sarebbe andata se di fronte a voi ci fosse stato un bambino cattivo, rabbioso, brutto, geloso, confuso? Dove sarebbe finito in tal caso tutto il vostro amore? Eppure io ero anche questo. Ciò non vorrà dire, forse, che non io sono stato amato, ma ciò che fingevo di essere? Il bambino educato, coscienzioso, capace di mettersi nei panni degli altri, comprensivo, il bambino comodo, che in fondo non era affatto un bambino? Che cosa ne è stato della mia infanzia? Non ne sono stato forse defraudato? Mai potrò recuperarla. Fin dal principio sono stato un piccolo adulto. E, delle mie capacità, non ne è forse stato abusato?”.

Nel libro di Alice Miller, psicoanalista svizzera, colui che è posto al centro dell’attenzione è il bambino perfetto: consenziente, studioso, affettuoso. Praticamente, un bambino-genitore: preoccupante soggetto il cui problema risalirebbe nella mancata disponibilità dei genitori rispetto ai suoi bisogni primari, fin dai primissimi giorni di vita. Il bambino asseconda il genitore sino alla negazione del proprio sé. Il bambino sta fermo, zitto, seduto, composto: ha rinunciato alla propria vitalità.

 

L’autrice, allontanandosi dai percorsi tradizionali della psicoanalisi, elabora una sua propria interpretazione. “Ognuno di noi ha dentro di sé un cantuccio, a lui stesso celato, in cui si trova l’apparato scenico del dramma della sua infanzia”. La linea guida all’intervento psicoterapeutico si fonda sulla eliminazione della rimozione (dunque la riesumazione) dei sentimenti dell’infanzia: “Lo sviluppo di sintomi, che poi nella terapia l’adulto sarebbe riuscito ad eliminare quando dietro ai sintomi sarebbero gradualmente emersi dalla coscienza sentimenti che erano nascosti: sentimenti di terrore, di disperazione, di ribellione, di diffidenza e di rabbia impotente.”

 

 “Ogni bambino ha il legittimo bisogno di essere guardato, capito, preso sul serio e rispettato dalla propria madre. Deve poter disporre della madre nelle prime settimane e nei primi mesi di vita, usarla, rispecchiarsi in lei. Un’immagine di Winnicot illustra benissimo la situazione: la madre guarda il bambino che tiene in braccio, il piccolo guarda la madre in volto e vi si ritrova… a patto che la madre guardi davvero quell’esserino indifeso nella sua unicità, e non osservi invece le proprie attese e paure, i progetti che imbastisce per il figlio, che proietta su di lui. In questo caso nel volto della madre il bambino non troverà sé stesso, ma le esigenze della madre. Rimarrà allora senza specchio e per tutta la vita continuerà invano a cercarlo.”

La lettura di questo testo ci pone dunque di fronte a una domanda quanto meno imbarazzante: tra le pieghe del nostro amore assoluto si insinua forse la nostra insicurezza? Ma poi ci fa sorridere grazie ad un inaspettato colpo di scena: secondo l’autrice, in un grande numero di casi, per quella importante tendenza a comprendere gli altrui drammi, lo psicoterapeuta è soggetto sofferente di carenze affettive, un bambino dotato che ha sviluppato una particolare capacità introspettiva verso gli altri penalizzando la propria personalità. Inquietante? Ai lettori la sentenza.

 

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