Ultimo aggiornamento: 29/01/2008 |
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Piergiorgio Odifreddi ""C'ERA
UNA VOLTA UN PARADOSSO - Storie di illusioni e verità rovesciate",Grandi
Tascabili Einaudi, 2001 Tale libro comprende l’ "Introduzione paradossale" e i seguenti capitoli: - Immacolate percezioni - L’arte dell’illusione - Cose dell’altro mondo - Immacolate concezioni - Storia apocrifa di un mentitore - La corsa nel tempo della tartaruga - I para-doxa della democrazia - Sguardo paradossale al futuro - Mucchi, smeraldi e corvi - Dai paradossi ai teoremi Come viene precisato nel capitolo decimo, i paradossi sono stati al centro dell’attenzione nel periodo greco, nel Medioevo e a cavallo fra Ottocento e Novecento. In tali periodi storici vennero dati nomi diversi, che riflettono ancora oggi i diversi atteggiamenti verso di essi: per i Greci erano "paralogismi", ("oltre la logica"); per i medioevali "insolubilia" ("problemi insolubili"); per i moderni "antinomie" ("contro le regole"), o, appunto, paradossi ("oltre l’opinione corrente"). Nell’ "Introduzione paradossale", l’autore, ricordando che "un argomento come Dio (o logica) comanda si compone di premesse, ragionamento e conclusione", effettua la seguente classificazione in tre tipi: 1) Un paradosso è logico, o negativo, se riduce all’assurdo le premesse su cui si basa. L’attributo <<negativo>> sta soltanto a significare che l’argomento mostra l’inaccettabilità di assunzioni apparentemente innocue, e spesso implicite. "E stimola una rifondazione delle aree del sapere che su di esse, consciamente o inconsciamente, si fondano." 2) Un paradosso è retorico, o nullo, se si limita a esibire la sottigliezza di un ragionamento, o a esaltare l'abilità di chi lo produce. "come metodo filosofico rischia di ridurre la cultura al sofismo, e per questo fu severamente criticato da Platone nel <<Gorgia>>" 3) Un paradosso è ontologico, o positivo, se "attraverso un ragionamento inusuale rafforza le conclusioni a cui arriva. A questo si riferiva Schopenhauer, quando diceva che <<la verità nasce come paradosso e muore come ovvietà>>" Si sottolinea come i modi, poi, siano molteplici; oltre al ragionamento formale, "alcuni paludamenti e figure letterarie si prestano particolarmente bene all'esposizione di argomenti paradossali." Tra gli altri, vengono citati, ad esempio, "l'inversione del chiasma, che rivolta affermazioni come <<il reale è paradossale>> in <<il paradossale è reale>>" e la "contrapposizione dell'ossimoro, il miglior esempio del quale è proprio <<ossimoro>> (da oxis, <<furbo>> e moron, <<scemo>>, quindi: <<idiot savant>>)". Vengono analizzati anche i vari atteggiamenti, con cui sono stati considerati i paradossi: "Aristotele e Russell li hanno temuti come la natura aborrisce il vuoto, cercando di proporre soluzioni più o meno soddisfacenti e utili. Pirrone e Heghel hanno abbracciato le contraddizioni come i kamikaze andavano incontro alla morte, basando su di esse il loro rifiuto della conoscenza e della realtà. Kant ha brandito le antinomie come il cacciatore un fucile a quattro canne, sparando pallettoni sui merli che credono di credere e invece si illudono soltanto di pensare. Kierkegaard ha usato i paradossi come le spinte che si ricevono sul trampolino, per favorire un salto nel vuoto oltre il bordo della ragione. Carroll, Kafka e Borges hanno costruito le loro opere letterarie su girandole di situazioni paradossali, al limite e oltre. Bateson e Watzlavick sono arrivati a considerare paradossale ogni forma di comunicazione umana, fondando su questa visione una singolare terapia psichiatrica." Dapprima Piergiorgio Odifreddi si sofferma a descrivere le illusioni dei sensi, per farci scoprire come ci lasciamo ingannare dalla natura e dagli artisti. Sono interessanti le "figure immaginarie", tra cui cito il "triangolo di Reutersvard", la cui immagine (vedi figura a destra) appare anche sulla copertina del libro stesso; tale figura è disegnata in prospettiva (in modo da dare l’illusione di visualizzare tre angoli retti) e ottenuta in origine espandendo la stella di David, che sta al centro. E’ stato Richard Gregory a mostrare "come tre sbarre, due a due perpendicolari, ovviamente formanti una figura aperta, possano sembrare un triangolo impossibile, se osservate da una prospettiva che ne faccia coincidere gli estremi." (vedi figura a sinistra). Mi è piaciuto molto il disegno del tronco di piramide impossibile (vedi figura in basso), in quanto ci trae facilmente in inganno; tale figura, invece, non può corrispondere ad alcun oggetto reale, perché i prolungamenti dei tre lati verticali non si incontrano in un unico punto. Dalle "Immacolate percezioni" dei sensi, l’autore passa "alle immacolate concezioni del pensiero religioso e filosofico", senza trascurare le "manifestazioni orientali". Vengono, poi, minuziosamente analizzati, nelle innumerevoli vicissitudini umanistiche e scientifiche, i due paradossi più famosi della storia: quello del mentitore e quello di "Achille e la tartaruga", di Zenoniana memoria. "Il primo studio riguarda la più insidiosa delle nozioni logiche: <<la verità>>, la quale si illude di essere assoluta, pur essendo soltanto (un anagramma di) <<relativa>>. Di verità, comunque, ce ne sono: perché se non ce ne fosse alcuna, questa sarebbe già una." Il secondo studio è dedicato "alla nozione matematica più sofisticata: l’infinito". Viene affrontato nella versione del "regresso all’infinito che ha permeato la secolare storia del pensiero filosofico, scientifico e artistico." Nel settimo capitolo vengono prese in considerazione le problematiche che la democrazia trascina con sé. Nel nono capitolo si approfondisce il concetto di induzione, distinguendo tra: -L’induzione matematica (Essa "stabilisce che se una proprietà vale per il numero zero, e se quando vale per il numero n continua a valere per il numero n+1, allora essa vale per tutti i numeri") -L’induzione scientifica (Essa "stabilisce che se una proprietà è confermata da tutti i fatti conosciuti, e non è falsificata da alcun fatto conosciuto, allora essa è vera in generale.") Dal punto di vista della logica, però, i due principi suddetti sono accomunati, perché entrambi godono di proprietà paradossali, che l’autore descrive con accuratezza, partendo dal primo paradosso dell’induzione matematica (che risale al V secolo a.C.), nella forma del sorite (<<soros>> significa <<mucchio>>): "se un granello di miglio non fa rumore cadendo, allora non può nemmeno far rumore un mucchio. Equivalentemente: poiché un mucchio fa rumore cadendo, allora dovrebbe far rumore anche un granello." Come sottolinea P. Odifreddi, l’ipotesi esplicita (inerente al fatto che non si percepisca il rumore di un granello di miglio) è vera, ma è falsa l’ipotesi che "se non si percepisce il rumore di n granelli, allora non si percepisce neppure quello di n+1". Viene ricordato che esiste "un livello di soglia sotto il quale non percepiamo rumore e sopra il quale sì". Il "Capitolo decimo" presenta quadri più tecnici, richiedenti una lettura più attenta, partendo da Pitagora, per arrivare a Banach e Tarski. Mi limito a soffermarmi sulla "curva di Koch": si considera un triangolo equilatero e si divide ciascun lato in tre parti uguali. Si considera, poi, "il terzo centrale di ciascuno come la base di un nuovo triangolo equilatero e si ripete il processo all’infinito. Il risultato finale è una figura a forma di fiocco di neve, che ha un’area finita, ma un bordo infinito. Infatti a ogni passo la lunghezza del bordo si moltiplica per 4/3." Il paradosso sta "nel fatto che è implicito nella nozione di curva chiusa che essa debba avere una lunghezza finita." Poiché curve come quella di Koch non si possono misurare nel modo solito, avendo appunto lunghezza infinita, "nel 1918 Felix Haussdorff (1868 - 1942) propose di misurarne almeno il grado di autosomiglianza, estendendo la nozione di dimensione nel modo seguente. Un segmento è una figura autosimile unidimensionale, che si può ottenere ponendo insieme due parti di grandezza un mezzo. Analogamente, un quadrato è una figura autosimile bidimensionale, che si può ottenere ponendo insieme quattro parti di grandezza un mezzo. E un cubo è una figura autosimile tridimensionale, che si può ottenere ponendo insieme otto parti di grandezza un mezzo." Insomma, il paradosso di Koch fu risolto "introducendo un nuovo tipo di curve, dette frattali. Si tratta appunto delle curve la cui dimensione di Haussdorff è maggiore di 1, e ce ne sono a bizzeffe. Ad esempio, per ogni reale d tale che 1< d <2 , c’è una curva frattale con dimensione di Haussdorff uguale a d". Per approfondire l’argomento, consiglio la lettura del libro. Ringrazio Piergiorgio Odifreddi, che con squisita gentilezza ha letto e approvato la mia recensione, prima che fosse pubblicata. |
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