Ultimo aggiornamento: 17/06/2004

 
     
 
Piergiorgio Odifreddi "IL VANGELO SECONDO LA SCIENZA - Le religioni alla prova del nove", EINAUDI TASCABILI, 1999
Tale libro comprende un "Introito" e i seguenti capitoli: La varietà dell'esperienza religiosa - Le Colonne d'Ercole dell'induzione - La creazione - Il Nulla - L'Uno - L'anima - Il Santo Graal della deduzione - Paradossi - Dimostrazioni - Giochi matematici - Opzioni per il terzo millennio.
Come viene spiegato nell'Introito, l'idea di questo testo nacque la sera dell'inverno 1996, quando l'autore si trovava a Calcutta; il proposito di quella sera fu di portare un contributo all'avvicinamento delle due culture, tecnologica e umanistica, mediante il tentativo di rivisitare le problematiche religiose, osservandole da un punto di vista squisitamente scientifico-matematico. Per Piergiorgio Odifreddi il processo di maturazione intellettuale "si manifesta in trasformazioni culturali successive: il mito religioso diventa dapprima racconto letterario, poi speculazione filosofica e infine risultato
scientifico e matematico".
Il percorso che segue risulta parallelo a tali trasformazioni: si accenna agli aspetti socio-culturali del fenomeno religioso, che condizionano la varietà contingente dell'esperienza religiosa; si passa poi "alle implicazioni teologiche della ricerca scientifica, esponendo alcune sorprendenti speculazioni sulla natura ultima del mondo sensibile; vengono trattati gli aspetti trascendenti della matematica e della logica matematica e il libro si conclude <<con una discussione delle opzioni religiose che si presentano all'uomo contemporaneo occidentale allo scadere del millennio.>>"
Ho letto con estremo interesse il libro, perché lo stile narrativo è chiaro e coinvolgente e voglio riportare soltanto qualche frase, (non è stato facile operare una scelta, sia perché ogni argomento è strettamente collegato agli altri, sia perché non c'è alcun concetto superfluo, da eliminare) tratta dai capitoli: "Dimostrazioni", e "Giochi matematici", in cui l'autore si sofferma a descrivere i ripetuti tentativi, nella storia del pensiero, per arrivare a dimostrazioni di natura formale dell'esistenza di Dio. Nel capitolo "Dimostrazioni" vengono analizzate le prove logiche e, nel capitolo successivo,
quelle matematiche. L'analisi dell'autore inizia con gli argomenti della teologia naturale, i quali procedono "seguendo un percorso che vorrebbe andare << per aspera ad astra>>: dal mosso all'immobile, dal causato all'incausato, dal contingente al necessario, dall'imperfetto al perfetto, dal relativo all'assoluto, dal mutabile all'immutabile." Tali argomenti si fondano tutti su un unico principio: un rifiuto dell'infinito e, più precisamente, del "regresso infinito". Nella "Summa Theologiae" Tommaso d'Aquino chiama gli argomenti dimostranti l'esistenza di Dio "vie", non "prove",
sottolineandone così l'aspetto religioso, più che filosofico. Come attentamente afferma Odifreddi, "le vie della teologia naturale incorrevano in due tipi di errore. Per quanto riguarda l'esistenza di Dio, esse si basavano su un rifiuto dell'infinito: nel momento in cui filosofia e matematica decisero invece di accettarlo, tali argomenti persero il loro valore probatorio." Avendo intuito che gli argomenti della teologia naturale non erano sufficienti a dimostrare l'esistenza di Dio, il monaco benedettino Anselmo d'Aosta si dedicò alla teologia analitica, cercando una prova speciale, un unico argomento fondato sulla logica <<che non avesse bisogno di altra giustificazione che se stesso.>>" Scoprì, così, la seguente prova ontologica: "Definiamo Dio come un essere del quale non si può pensare uno più grande. Se esso non fosse unico, si potrebbe pensarne uno più grande, che comprendesse entrambi. Se esso non esistesse, si potrebbe pensarne uno più grande che esistesse. Dunque Dio esiste ed è unico." Anselmo era consapevole di inaugurare una teologia razionale, infatti aveva dapprima
intitolato la propria opera "Fides quaerens intellectum (= La fede che cerca l'intelletto)", anche se, poi, il titolo fu cambiato in "Proslogion", che Anselmo stesso definì come "colloquio". L'ottantenne Gaunilone, un monaco dell'Abbazia di Marmoutier, mosse la prima critica alla prova ontologica. Nella "Difesa dell'insipiente" (Per Anselmo "insipiente" era colui che non crede perché non comprende) si precisava che l'essenza di Dio non può essere intesa dall'uomo e che le supposte
definizioni di tale essenza sono vuoti giochi verbali. Non solo Dio è un essere del quale niente di più grande può essere pensato, ma è più grande di quanto possa essere pensato. La prova ontologica conservò un ruolo importante nelle filosofie di Cartesio, Spinoza e Leibniz, che cercarono di "perfezionarla". Per Cartesio Dio esiste, perché l'idea di infinito non può derivare né dalle cose, né da noi e, perciò, deve derivare da Lui. Cartesio sosteneva che l'essenza di Dio implica la sua esistenza tanto quanto l'essenza di un triangolo implica il fatto che la sua somma angolare sia 180°; tale esempio di "necessità" non è decisamente valido, dal momento che la somma angolare di un triangolo è "contingente": essa è minore, uguale o maggiore di 180°, a seconda che la geometria presa in considerazione sia iperbolica, euclidea o ellittica. Non è possibile aggirare l'ostacolo facendo riferimento alla geometria del mondo fisico, perché Einstein ha provato che essa, qualunque cosa sia, non è euclidea.
Spinoza nell'"Etica" scrisse: "Causa di se stesso è un essere la cui essenza implica l'esistenza". Nelle "Meditazioni" Cartesio definì Dio "come un essere che ha tutte le perfezioni; poiché l'esistenza è una perfezione, Esso esiste". Ai nostri giorni si potrebbe obiettare che l'esistenza non è una perfezione, ma una imperfezione e Robert Nozick nelle "Spiegazioni filosofiche" giunge alla seguente conclusione: "Dio è talmente perfetto che non ha bisogno di esistere".
Kant "notò che l'esistenza non è una proprietà, bensì la copula di un giudizio" (Odifreddi sottolinea che oggi i logici direbbero: non è un predicato, bensì un quantificatore) e non può far parte dell'essenza di un oggetto. "Invano la ragione spiega le sue ali, per librarsi sopra il mondo sensibile con la potenza della speculazione". Per Hegel razionale e reale coincidevano, quindi trovò nella prova ontologica "il principio supremo della sua filosofia: il passaggio, cioè, dall'essere nel pensiero all'essere nella realtà. In altre parole: poiché Dio è pensabile, allora esiste."
Fu Kurt Godel nel 1970 a provvedere alla formalizzazione della prova ontologica Egli sostituì le perfezioni con le proprietà positive e delimitò preventivamente la natura di tali proprietà positive, enunciando in modo esplicito alcune delle loro caratteristiche e limitandosi rigorosamente nel suo ragionamento all'uso di queste. L'argomento di Godel è il seguente: "In un mondo finito, Dio esiste ed è unico." Odifreddi replica che, essendo Dio definito come un essere con certe proprietà, non
bisogna dimenticare che le proprietà sono godute dagli oggetti del mondo, per cui Dio è un'entità che fa parte del mondo, un essere immanente e non trascendente. "Inoltre l'unicità di Dio è solo relativa alla classe di proprietà positive considerate: ogni classe ha un suo unico Dio, ma le classi sono tante. Più che di Dio, si dovrebbe forse parlare di un capoclasse."
La teologia naturale si basa sulla conoscenza del mondo ed è sintetica e a posteriori; la prova ontologica si fonda sulla ragione ed è dunque analitica e a priori, ma esiste anche una teologia sintetica e a priori, che presupponga l'esistenza di qualcosa, ma non la sua conoscenza; quartum non datur, perché "analitico a posteriori" è un controsenso. La prova ontologica è caratteristica della teologia analitica, mentre la prova cosmologica è tipica della teologia sintetica a priori. (Si tratta
esattamente della terza "via" di Tommaso d'Aquino). Essa consiste in questo ragionamento: definendo contingente un essere che necessita di qualche altro essere per esistere, si può fermare un regresso infinito soltanto introducendo l'esistenza di un essere necessario, che esiste, quindi, senza aver bisogno di altri esseri. Da questo argomento, Avicenna dedusse che tutti gli esseri sono necessari, perché anche quelli che sembrano contingenti derivano la loro esistenza da un essere necessario e quindi esistono necessariamente. La versione più particolareggiata della prova cosmologica fu fornita nel 1705 da Samuel Clarke, nel "Discorso concernente l'essere e gli attributi di Dio. Egli espose dodici proposizioni alla maniera di Euclide (assiomi-dimostrazioni-teoremi), però la sua versione fu sottoposta ad analisi critiche, essendo agevole seguire un ragionamento formale nei minimi dettagli, scoprendone gli errori più nascosti. Nel 1942 il logico Haskell Curry notò che "un
essere necessario, così come una causa prima, si ottiene risalendo all'indietro nella catena delle cause che parte dagli esseri contingenti, ed è dunque la causa di ciascuno di essi. Da un punto di vista logico, poiché le cause sono espresse mediante implicazioni, un essere necessario o una causa prima si possono rappresentare mediante una formula A che equivale alla formula "A implica B, per qualunque formula B...Da una parte, di una tale formula A si può dimostrare che è vera.
Essendo essa equivalente ad <<A implica B>>, basterà dimostrare che da A segue B. Supponiamo allora A e dunque anche <<A implica B>>, visto che le due cose sono equivalenti: da esse segue B per modus ponens. D'altra parte, la conclusione che A è vera è contraddittoria. Infatti lo sono allora sia <<A implica B>>, a essa equivalente, che B, che segue da entrambe. Ma B è una formula qualunque, e in particolare può essere scelta falsa." Insomma, l'assunzione di un essere necessario, o di una causa prima, è incompatibile con la logica.
Voglio accennare, ora, ad alcune "prove matematiche" descritte da Odifreddi; è attraverso la numerologia che la matematica esercita la sua influenza sulle credenze religiose. Nel testo anonimo del secolo XII "Il libro dei ventiquattro filosofi" vengono riportate varie definizioni di Dio; ad esempio questa: "Dio è un'unità che genera un'unità". Per commentare tale definizione, si analizza l'equazione: 1*1=1 e viene considerata come l'"immagine aritmetica della Trinità: il prodotto dell'unità moltiplicante (Dio Padre) e dell'unità moltiplicata (il Figlio) produce una nuova unità (lo Spirito Santo) uguale alle prime due". L'ingenuità di tale "dimostrazione" è, a mio avviso, evidente!
Fu a partire dal Medioevo che le problematiche filosofiche e matematiche, connesse con la nozione di infinito, sconfinarono spesso con la teologia. Nicola Cusano tentò di fondare il Cristianesimo su un sistema filosofico di ispirazione matematica, che presentò nella versione geometrica in "De Docta ignorantia" e nella versione aritmetica nel "De conjecturis". Per Cusano Dio è ineffabile e se ne può parlare solo in modo negativo, quindi si arriva a Dio attraverso l'infinito, che è appunto "non-finito" e, perciò, attraverso la matematica. Per Cusano il fatto, ad esempio, che una retta consti di tanti punti quanti ciascuno dei suoi segmenti, mostra che Dio può, contemporaneamente essere per intero in ciascuna delle sue creature e contenerle tutte. Nel cerchio infinito, nel quale centro, diametro e circonferenza coincidono, Cusano vide un'immagine di Dio, che è, nel contempo, all'interno di ogni cosa. Per Giordano Bruno l'universo è infinito, ma di un ordine inferiore a quello di Dio: viene quindi anticipata la distinzione tra infiniti scoperta da Georg Cantor nel 1874.
Grazie soprattutto all'approccio di Newton al calcolo infinitesimale, non venne più considerata paradossale la nozione di somma infinita e venne accettata l'idea che a essa potesse corrispondere un numero finito, ma il problema era "quale". Nel Settecento si discusse molto in merito alla serie alterna: 1 - 1 + 1 - 1 + 1 -... In base a come vengono sistemate le parentesi, si arriva a un paradosso:
(1 - 1) + (1 - 1) +... = 0
1 + (- 1 + 1) + (- 1 + 1) +... = 1
Guido Grandi nell'opera "Quadratura circuli et hyperbolae" del 1703 affermò che questa era una spiegazione di come Dio aveva creato il mondo dal nulla. Odifreddi commenta, giustamente, che non si può ridurre la creazione "a un fatto parentetico!".
In uno dei "Pensieri", intitolato "Infinito, nulla", Pascal sottolineò che nelle questioni religiose la ragione va poco lontano e che è conveniente rivolgersi a sentimenti meno nobili quali l'utilità e il guadagno. Egli inventò la cosiddetta "prova morale" dell'esistenza di Dio: vengono presentati quattro casi possibili. "Se si scommette che Dio esiste e si vince, si ottiene il paradiso; se si perde, si spreca la vita. Se si scommette che Dio non esiste e si vince, ci si gode la vita; se si perde si finisce all'inferno. Ora, paradiso e inferno sono rispettivamente una vincita e una perdita infinita, mentre una
vita goduta o sprecata sono rispettivamente una vincita o una perdita finita. La scommessa che Dio esista contrappone, dunque, una vincita infinita a una perdita finita, e quella che Dio non esista una vincita finita e una perdita infinita: da un punto di vista di puro guadagno, è chiaro che conviene scommettere sulla prima." Come precisa lo stesso Odifreddi, è impensabile che Dio possa apprezzare un fedele che crede per convenienza, ma senza convinzione; inoltre è sufficiente
ricordare l'episodio della cacciata dei mercanti dal tempio (Giovanni, II, 14-16) per scorgere l'inconciliabilità tra fede e guadagno.
Da un punto di vista matematico, l'autore sottolinea come Pascal abbia confuso la probabilità che un evento accada, con l'utilità a esso associata e questo dimostra che "la teoria della probabilità da lui inventata, insieme con Fermat, era ancora in fase di gestazione..."
Odifreddi cerca di ricostruire razionalmente l'argomento di Pascal e ritiene opportuno ricondurlo più alla teoria dei giochi che a quella delle probabilità. Viene considerato, così, "un gioco a due giocatori, rispettivamente Dio e l'uomo, il primo dei quali ha la scelta se rivelarsi o no e il secondo se credere o no."
Analizzando le Scritture, il ragionamento di Dio può essere il seguente: "La cosa migliore è che l'uomo creda, meglio senza rivelazione, ma se necessario attraverso essa: infatti <<beati sono coloro che non hanno visto, e hanno creduto>> (Giovanni, XX, 29)...Se però l'uomo sceglie di non credere, la cosa migliore è che lo faccia in mancanza di rivelazione, perché sarebbe la sua rovina se egli rifiutasse di credere anche di fronte alla rivelazione: <<Chi non crederà sarà condannato>> (Marco, XVI, 16)" Il ragionamento dell'uomo può essere così riassunto: "La cosa migliore è che Dio si riveli e l'uomo creda, la peggiore che Dio si riveli e l'uomo non creda." Nel caso Dio non si riveli, Pascal suggerisce che sia meglio credere. La teoria dei giochi considera un'opzione dominante (irrinunciabile) per un giocatore se essa è preferita qualunque sia il comportamento dell'avversario: sarebbe irrazionale non seguirla, dal momento che la si preferisce comunque.
Per Dio è irrinunciabile non rivelarsi: se l'uomo crede avrà più merito e se non crede avrà meno demerito. Se ne deduce che un Dio razionale non debba allora rivelarsi...
Chi volesse approfondire questi argomenti, da me appena accennati e gli altri, ancora più interessanti, dovrà leggere il libro, perché mi sono accorta di aver scritto più di quanto avessi intenzione di scrivere...
Concludo sottolineando le seguenti parole dell'autore stesso: "Anche attraverso la matematica si arriva alla stessa limitazione che la filosofia e la fisica di questo secolo hanno messo in evidenza: noi siamo <<gettati nel mondo>>, come osservatori facciamo parte della stessa realtà che osserviamo, e molte delle complicazioni della vita e dell'universo ci appaiono tali solo perché siamo troppo coinvolti e limitati."
E' meravigliosamente efficace il concetto espresso da Newton, che, con ammirevole modestia, ha paragonato il suo eccezionale percorso intellettuale al "gioco di un bambino sulla spiaggia, che si bea nel trovare ogni tanto un sassolino levigato o una conchiglia, mentre il grande oceano della verità giace sconosciuto di fronte a lui."
Giorgio Pietrocola, che ringrazio, commenta così: "Mi fa piacere che con Odifreddi continui quella
tradizione che vede il pensiero matematico uscire dai propri angusti confini disciplinari, per illuminare ed arricchire un più vasto mondo culturale."
Ringrazio Piergiorgio Odifreddi, che, con disponibilità e gentilezza, ha letto e approvato la mia
recensione, prima che la pubblicassi.
Antonia Manfredi, che ringrazio, ha commentato la mia recensione, scrivendo, tra l'altro, quanto segue: "La strada della conoscenza umana è sempre la stessa: ricerca mitica, che viene raccontata, che si impone al pensiero umano e che porta poi a un'analisi empirico-laboratoriale. Ma la strada è anche inversa, perché dalla Ricerca puoi arrivare al Mito e la ricerca diventa mito laddove il tuo pensiero di scienziato non basta per spiegare l'Universo, perché l'Universo è più forte di te, perché l'Universo è frutto dogmatico e meraviglioso di un Dio misterioso e affascinante.
In un siffatto Universo la religione diventa un fenomeno, nel senso più trascendente della parola. L'uomo durante la sua ricerca umana, che è uno spiegare sé stessi, inciampa in Dio e tenta di spiegarlo per sé e per gli altri, dando vita ad associazioni religiose varie, che possono permeare di regole tutta una comunità o almeno una parte. Quanto più la ricerca si raffina in metodologie sistemiche denominate scienze positive, tanto più l'uomo incontra Dio, IL GRANDE INVENTORE e SPERIMENTATORE."