Ultimo aggiornamento: 23/01/2005

 
     

Piergiorgio Odifreddi, “DIVERTIMENTO GEOMETRICO – Le origini geometriche della logica da Euclide a Hilbert”, Bollati Boringhieri, Prima edizione 2003 (pp. 271)

Come ci riferisce Proclo (410 – 485 d.C), Euclide ha affermato che “non esiste una via regia per la geometria”,  quindi pare che non ci sia una strada più breve per imparare tale disciplina, ma Piergiorgio Odifreddi riesce egregiamente a presentarci la sua “rilettura degli Elementi di Euclide e dei Fondamenti di Hilbert ad usum delphini”, dopo aver eliminato “le  prolissità di un greco e le cripticità di un tedesco dai loro poemi matematici”, per facilitare ai lettori la comprensione dei concetti esposti.

Mi limiterò a riportare un breve riassunto del libro,o meglio, alcuni spunti di riflessione, senza addentrarmi nella parte squisitamente tecnica, curata, con dovizia di particolari, dall’autore.

P. Odifreddi traccia, nell’Introduzione storica, in modo informale, lo sviluppo storico del discorso che viene, poi, sviluppato, in maniera tecnica e approfondita nei capitoli del libro e sottolinea che in questo volume il suo interesse non è quello di prendere in considerazione sistematicamente una o più parti della Geometria, ma di voler isolare “alcuni momenti del suo divenire che hanno interesse da un punto di vista fondazionale: momenti in cui i problemi furono geometrici soltanto per accidente storico, e le soluzioni richiesero innovazioni di natura generale o logica.”

Tale Introduzione storica si divide nei seguenti paragrafi: "Dimostrazione", "Platone e Aristotele", "Assiomatizzazione", "Costruibilità", Equivalenza logica, Rigore informale, Aritmetizzazione, Kant, Purezza di metodi, Indipendenza e consistenza relativa, Insolubilità, "Formalizzazione" e "Metamatematica", molti dei quali fanno esplicito riferimento agli omonimi capitoli stessi del libro.

Agli inizi, la Geometria fu agrimensura e soltanto con Talete di Mileto (640–546 a. C.), che introdusse il concetto di dimostrazione,  iniziò uno sviluppo logico (probabilmente intuitivo) della geometria. “La sistematizzazione della geometria piana continuò attraverso Pitagora di Samo (580–500 a. C.) e si concluse con gli Elementi di Ippocrate di Chios (440 a.C.) che, sebbene perduti, si ritiene coprissero i primi quattro libri degli Elementi di Euclide (300 a.C.) […]”

Platone (427–347 a.C.)  si interessò  alla natura degli oggetti matematici e cercò di spiegare che cosa fossero le figure di cui si trattava nella geometria. Per Platone le figure geometriche sono le idealizzazioni (o le forme) degli oggetti fisici percepiti mediante le sensazioni; siccome tali idealizzazioni (o idee) hanno una perfezione che negli oggetti manca (così come vengono percepiti), esse esistono indipendentemente da questi e sono la «vera» realtà, di cui il mondo sensoriale è soltanto una pallida immagine. La geometria acquista un’importanza fondamentale, perché rappresenta il modo attraverso il quale veniamo a conoscenza del mondo delle idee. Essendo la matematica considerata il mezzo per venire a conoscenza del mondo delle idee, che aveva una sua realtà indipendente, Platone non sottolineò il ruolo della deduzione: essa poteva solo rendere esplicito ciò che era già vero indipendentemente. Tale atteggiamento cambiò con Aristotele (384-322), che si interessò alla natura del metodo matematico e sistematizzò la logica come scienza del ragionamento, precisando che la deduzione doveva essere l’unico modo di stabilire la verità di un enunciato matematico.

I tempi erano ormai maturi per un trattamento della geometria piana in forma rigorosa, secondo il modello assiomatico introdotto da Eudosso (408-355 a.C.) e sistematizzato da Aristotele. Euclide produsse i libri I-IV dei suoi Elementi, che divennero “il testo sacro della matematica greca e conobbero una fortuna editoriale rivaleggiata soltanto dalla Bibbia […] Per quanto riguarda la deduzione, Euclide è esplicito nel separare le assunzioni dai teoremi . In ciò segue Aristotele, che vide chiaramente che «non tutto può essere dimostrato, perché questo porterebbe a un regresso infinito» […]”

Euclide separa anche logica e matematica, dividendo le assunzioni in assiomi logici e postulati matematici. (Come precisa l’autore, in una nota in fondo alla pagina 14, la distinzione fra «assioma» logico e «postulato» matematico non è più usata oggi, e in entrambi i casi si parla di "assiomi").

In seguito alla scoperta dei numeri irrazionali e alla successiva crisi dei fondamenti, “i Greci evitarono di parlare di algebra direttamente e usarono invece formulazioni geometriche per i loro risultati. Ad esempio nei libri II, VII, VIII e IX degli Elementi, Euclide rappresenta i numeri come segmenti, l’addizione di due numeri come un segmento che si ottiene dalla estensione di un segmento corrispondente al primo numero mediante un segmento corrispondente al secondo […] e così via. In particolare, l’algebra è subordinata alla geometria, anche nel linguaggio. La geografia e l’astronomia resero necessario il processo inverso e a partire da Ipparco (150 a.C.) si cominciarono a usare coordinate per descrivere curve date, ma soltanto rispetto a un sistema di coordinate scelto di volta in volta, in base alla curva. Il primo a scegliere un sistema di coordinate fisso fu Oresmo (1323-1382), che era ancora talmente legato all’uso geografico da chiamare le coordinate «longitudine» e «latitudine». L’introduzione di una notazione algebrica soddisfacente (in cui le lettere venivano usate per indicare variabili) permise a Pierre de Fermat (1601-1665) nel 1629 e a René Descartes (1596-1650) nel 1637 di sviluppare la geometria analitica […] Essi scoprirono che le equazioni di primo e secondo grado descrivono, rispettivamente, rette e coniche. La scoperta della geometria analitica ebbe un indubbio valore tecnico, perché introdusse (e questo fu uno degli scopi dichiarati da Descartes) una metodologia nello studio della geometria, che mancava nello sviluppo greco.[…]”  Sia P. de Fermat sia R. Descartes considerarono, però, l’algebra come uno strumento per risolvere problemi di costruzioni geometriche, usandola per la geometria e non in sostituzione di essa. Descartes, inoltre, non considerò come curve legittime quelle trascendenti, “limitandosi a quelle algebriche (definite da un’equazione); e spesso risolse i suoi sistemi di equazioni geometricamente, invece che analiticamente (usando le equazioni solo come mezzo per leggervi più facilmente proprietà geometriche). […] Il cambiamento di rotta fu opera di John Wallis (1616-1703), che nel 1657 diede un trattamento algebrico dei libri II e V di Euclide, e del trattato sulle sezioni coniche di Apollonio (egli introdusse anche la nozione di coordinate negative). Ma si dovette aspettare il 1899 (!) perché si ottenesse una effettiva riduzione della geometria all’algebra; questa fu fatta da David Hilbert (1862-1943) nel suo libro Fondamenti della Geometria.[…]”

Ho apprezzato particolarmente il paragrafo dedicato al “grande” Immanuel Kant (1724-1804), che ha usato la geometria euclidea come uno dei fondamenti della sua filosofia nella Critica della ragion pura e nei Prolegomeni ad ogni futura metafisica: tale geometria costituisce la forma della percezione sensoriale per gli oggetti esterni (così come il tempo costituisce la forma della percezione interna). L’idea di Kant è che lo spazio sia un a priori  che appartiene a noi esseri umani e che venga usato per organizzare le nostre percezioni sensoriali. “Noi percepiamo il mondo come euclideo non perché esso così sia (per Kant il problema di come la realtà sia veramente non ha alcun senso, visto che possiamo soltanto sapere come essa si presenta a noi), ma perché questo fa parte del nostro modo di essere: «Il concetto di spazio non ha origine empirica, ma è un’inevitabile necessità del pensiero». In particolare, né la possibilità matematica di geometrie non euclidee, né la verifica sperimentale della non euclideicità dello spazio fisico possono confutare la tesi di Kant, poiché esse non si riferiscono al nostro modo di percepire il mondo esterno. […]”  Però, come riporta P.Odifreddi in una nota in fondo alla pagina 20, “esistono in realtà degli studi che intendono dimostrare che lo spazio visivo umano è effettivamente iperbolico, e non euclideo.”

Nel paragrafo Purezza di metodi  viene sottolineato come Wallis si preoccupò di vedere non se gli assiomi fossero sufficienti per dimostrare certi risultati (come era stato sempre fatto nella matematica), ma se essi fossero invece necessari per dimostrare quei risultati. Insomma, si passò dal provare teoremi dagli assiomi al provare assiomi dai teoremi.

“Hilbert fece di tale idea il motivo centrale del suo libro, e ne notò l’intima connessione con l’ideale della purezza di metodi. Questa consiste appunto nel non usare, nella dimostrazione di un risultato, metodi estranei all’enunciato del risultato stesso: ad esempio, metodi non algebrici nella dimostrazione del teorema fondamentale dell’algebra.”

Adrien  Marie Legendre (1752-1833), Gerolamo Saccheri (1667-1733), Johann Heinrich Lambert (1728-1777), Carl Friedrich Gauss (1777-1855), Nikolaj Lobacevskij (1792-1856) e Jànos Bolyai (1802-1860) svilupparono a fondo le conseguenze della negazione del postulato delle parallele e lo scopo originario di tali ricerche era quello di trovare una contraddizione con teoremi della geometria neutrale (basata esclusivamente sui primi quattro postulati di Euclide) e dimostrare così il postulato delle parallele. Essi ottennero una geometria alternativa, detta iperbolica, senza però riuscire a ottenere una contraddizione. I risultati successivi mostrarono che non era possibile trovare una contraddizione nella geometria iperbolica: tale geometria è consistente. “Per fare  ciò, si costruì un modello geometrico in cui i primi quattro postulati di Euclide e l’assioma iperbolico sono soddisfatti.” P.Odifreddi descrive minuziosamente la lunga strada che portò a tale risultato, citando Gauss, Riemann, Beltrami, Klein, Poincaré e Wachter, sottolineando come i risultati raggiunti mostrino che non è possibile scegliere fra geometria euclidea e iperbolica sulla base della sola consistenza logica: se una è consistente, anche l’altra lo è.

Nell’ultimo paragrafo dell’Introduzione storica, si legge: “Nel suo libro, Hilbert  non soltanto  introdusse un sistema di assiomi, che permise di recuperare Euclide rigorosamente, ma compì un salto di qualità: il sistema di assiomi divenne un oggetto di studio a sé stante, e l’interesse si spostò dai teoremi del sistema ai teoremi sul sistema. Così facendo, Hilbert pose sulla carta tutta una serie di problemi per sistemi assiomatici che sarebbero diventati classici nella metamatematica posteriore:

indipendenza (esemplificata dalla storia del postulato delle parallele) […]

consistenza (esiste un modello) […]

completezza (ogni modello soddisfa le stesse proprietà) […]

categoricità (c’è un solo modello di una data cardinalità, a meno di isomorfismi) […]

Le ultime due proprietà furono introdotte, rispettivamente, da Veblen nel 1904 e da Edward Huntington (1874-1952) nel 1902. Tali problemi hanno generato il bisogno di una gran quantità di modelli. […] In particolare, si scoprirono varie geometrie, ad esempio geometrie finite, non-archimedee, non-desarguesiane, ecc.[…] Il libro di Hilbert si può a ben diritto considerare, oltre che un punto di arrivo di uno sviluppo assiomatico della geometria, anche come un punto di partenza della moderna metamatematica.”

Prima di concludere questa recensione, accenno appena al contenuto di ogni singolo capitolo.

Nel primo, denominato Assiomatizzazione,  s’inizia lo studio della geometria “con una rilettura del libro I degli Elementi di Euclide, che si apre con una lista di definizioni, assiomi e postulati, procede con una lista di proposizioni e si conclude con la dimostrazione del teorema di Pitagora e del suo inverso.”

Nel secondo capitolo Costruibilità vengono analizzate le potenzialità della riga e del compasso, poiché le costruzioni con tali strumenti “costituiscono il tema principale della sinfonia euclidea”. La complementare analisi delle limitazioni di questi strumenti è rimandata al capitolo 8.

In particolare, vengono effettuate “due variazioni sul tema: da un lato, costruendo varie figure geometriche (soprattutto poligoni regolari e lunule), e dall’altro cercando di «quadrarle», cioè di ridurle a un quadrato con la stessa area. Fu proprio in questi due campi che i Greci si imbatterono in alcuni problemi che divennero famosi per la loro insolubilità: primi fra tutti, come si vedrà appunto nel capitolo 8, la costruzione dell’ettagono regolare e la quadratura del cerchio.”

Il capitolo 3 Equivalenza logica è dedicato ad alcune curiosità, precisamente alle dimostrazioni di particolari equivalenze logiche presenti nel libro I  degli Elementi.

Nel quarto capitolo Rigore informale viene affrontata un’analisi della nozione di area.

“Il problema della misura di quantità geometriche è ovviamente centrale in Euclide, poiché sta alla base della crisi dei fondamenti prodotta dalla scoperta degli incommensurabili.” P.Odifreddi cerca di risistemare il trattamento delle aree in Euclide, “senza usare mezzi moderni (quali il concetto di numero reale): in altre parole, come Euclide o gli euclidei avrebbero potuto sviluppare l’argomento in modo adeguato.Tale lavoro fa parte di una risistemazione globale, che verrà conclusa nel capitolo 9 con la formalizzazione di Hilbert.[…]”

Il quinto capitolo Aritmetizzazione è dedicato agli sviluppi dell’aritmetizzazione della geometria e fa implicito riferimento al sistema assiomatico descritto e giustificato nel capitolo 9.

Nel sesto capitolo Purezza di metodi viene preso in considerazione il quinto postulato degli Elementi di Euclide; da un lato si sottolinea che tale quinto postulato “non solo permette di dimostrare molti teoremi , primo fra tutti quello di Pitagora, ma è in realtà equivalente ad essi: dunque, accettare o rifiutare il postulato significa accettare o rifiutare in blocco tutti questi risultati.” Dall’altro lato si deriva una serie di conseguenze dalla negazione del quinto postulato, detta postulato iperbolico, ottenendo così i primi risultati di una geometria alternativa a quella euclidea, detta appunto iperbolica.

Il settimo capitolo Indipendenza e consistenza relativa cerca di giustificare come si sia arrivati alla definizione del modello della geometria iperbolica usato dall’autore.

Nell’ottavo capitolo si torna “alle costruzioni con riga e compasso esaminate nel capitolo 2, per concludere il discorso e affrontare i famosi problemi della trisezione dell’angolo, della costruzione dell’ettagono regolare e della quadratura del cerchio.” 

Questo capitolo si conclude con una promessa allettante: “[…] Per provare che π non è costruibile, basta provare (per il primo criterio di insolubilità) che π è trascendente.

Purtroppo, non si conoscono dimostrazioni elementari della trascendenza, o anche solo della non costruibilità, di π. Siamo dunque costretti a rinviare ai testi di analisi superiore o di teoria analitica dei numeri per una dimostrazione dell’impossibilità della quadratura del cerchio. O al Divertimento analitico che, in futuro prossimo, costituirà l’altra faccia della medaglia del presente Divertimento geometrico.”

Nel nono capitolo Formalizzazione vengono riassunte le mancanze della assiomatizzazione di Euclide e viene trattato l’approccio metrico alla geometria, mettendo a confronto gli approcci di Hilbert e Birkoff, “che sono antitetici per quanto riguarda il loro atteggiamento verso la continuità. […]”

Nel decimo e ultimo capitolo Metamatematica, l’interesse dell’autore è rivolto alle proprietà metamatematiche del sistema assiomatico introdotto nel capitolo 9, concentrandosi in particolare sull’indipendenza degli assiomi e sulla loro categoricità.

Reputo Divertimento geometrico un libro di pregio, degno di essere studiato con attenzione da un pubblico ampio di persone colte.  

Ringrazio molto Piergiorgio Odifreddi che gentilmente  ha letto e approvato la mia recensione prima che fosse pubblicata.