Ultimo aggiornamento: 18/10/2004

Eli Maor, “ALL’INFINITO E OLTRE – Storia culturale del concetto di infinito”, Titolo originale dell’opere: To Infinity and Beyond. A Cultural History of the Infinite, Traduzione dall’americano di Maria Spoglianti, Gruppo Ugo Mursia Editore S.p.A., 1993

Nella Prefazione viene presentato il seguente raccontino, attribuito all’insigne matematico David Hilbert: un tale giunse in un albergo a notte fonda e dopo aver chiesto una camera si sentì rispondere che non c’erano più stanze disponibili, ma il direttore lo pregò di attendere, perché sarebbe riuscito, comunque, a reperirne una. Egli andò a svegliare tutti i clienti e chiese loro di cambiare camera: l’ospite della camera 1 si sarebbe trasferito nella 2, quello della 2 nella 3 e così via, finché ogni cliente fosse passato dalla propria stanza a quella contrassegnata dal numero d’ordine immediatamente successivo. Si rese, così, libera la camera 1 e il nuovo arrivato vi entrò, per trascorrervi la notte, ma un assillante interrogativo gli vietava di addormentarsi: dal momento che al suo arrivo tutte le camere erano occupate, come mai, solo con un banale spostamento di clienti da una stanza a un’altra, si era resa disponibile la prima camera? Finalmente ebbe un’intuizione e capì di trovarsi all’Hotel di Hilbert, famoso perché disponeva di un numero infinito di stanze!

Tale aneddoto “riassume, in un certo senso, la storia del concetto di infinito, una storia di affascinanti paradossi e di situazioni apparentemente impossibili che, per oltre duemila anni, hanno imbarazzato l’umanità. Le origini di questi paradossi sono insite nella matematica e proprio questa scienza ha rivelato la pista più vantaggiosa per trovarne una rigorosa interpretazione. Soltanto nel nostro secolo, si è giunti alla piena chiarificazione del concetto di infinito, ma nemmeno questo risultato può dirsi definitivo. Come ogni altra scienza, la matematica presenta un affascinante carattere di incompiutezza, nel senso che, appena ne viene svelato un mistero, eccone un altro sul punto di manifestarsi.” Poter pervenire a una comprensione assoluta e definitiva della scienza è davvero un traguardo sfuggente; ma è proprio questo aspetto di inafferrabilità a rendere molto stimolante lo studio di ogni materia scientifica, matematica compresa.

Molti pensatori, tra i quali filosofi, fisici, astronomi, artisti, si sono cimentati e continuano a cimentarsi con il concetto di infinito, ma è innegabile che tale concetto presenta le sue radici più profonde nella matematica. “E’ davvero arduo stabilire come la matematica potrebbe esistere quando fosse privata del concetto di infinito: infatti persino la primissima cosa di matematica che apprendono i bambini, precisamente il contare, implica l’assunzione implicita che ogni numero intero positivo ammetta un successivo. Anche la nozione di linea retta, così importante in geometria, si fonda sopra un’analoga ammissione: che sia possibile, almeno in prima istanza, prolungare indefinitamente una retta in entrambi i versi.” Persino in quelle branche della matematica all’apparenza «finite», come ad esempio il calcolo della probabilità, il concetto di infinito gioca un ruolo sottile: quando una moneta viene lanciata dieci volte, si può ottenere cinque volte «testa» e cinque volte «croce», oppure sei volte «testa» e quattro volte «croce» (o viceversa), oppure effettivamente un altro qualsiasi tra tutti i risultati possibili; ma, quando si afferma che vi è la stessa probabilità di ottenere «testa», oppure «croce», viene sottinteso il riferimento a un numero infinito di lanci.

L’autore spiega che il suo primo incontro con l’infinito avvenne quando da ragazzo gli regalarono l’Haggadah (la storia dell’Esodo dall’Egitto), un libro sulla cui copertina era disegnato un adolescente che teneva tra le mani un identico volume; osservando con attenzione, riuscì a distinguere la medesima illustrazione sulla copertina del minuscolo Haggadah di questo fanciullo. Comprese che , se fosse stato fattibile continuare il procedimento sotto il profilo tecnico, tale successione di figure avrebbe potuto procedere all’infinito. Una simile prospettiva lo affascinò e poco dopo venne a conoscenza che un artista olandese, allora relativamente poco famoso, Maurits C. Escher, era stato attratto dalla medesima idea ed era riuscito a trasferirla nella propria produzione grafica, “iterando il processo fino ai limiti consentiti dagli strumenti da disegno”.

In ognuna delle quattro parti in cui è diviso questo testo di Eli Maor, si avvertono l’esaltazione e il timore reverenziale che, in ogni epoca, l’infinito ha suscitato nell’animo umano.

Viene fornita una storia dell’infinito attraverso i tempi, senza che sia stato seguito necessariamente uno stretto ordine cronologico. Le pagine si rivolgono a una vasta gamma di lettori (ovviamente di un certo livello culturale), per cui è stato evitato, per quanto possibile, l’impiego di «matematica superiore» e sono stati relegati nell’Appendice alcuni specifici argomenti matematici.

I vari capitoli non sono, per lo più, strettamente collegati tra loro, per cui è possibile mirare subito alla lettura di determinati capitoli, senza incontrare ostacoli nella comprensione.

Si precisa che il libro presenta 162 illustrazioni in bianco e nero, cinque tavole a colori, nonché numerose citazioni, poesie e brani letterari riguardanti l’infinito.