Colette Hug, “IL FANCIULLO E LA
MATEMATICA”, Titolo originale “L’enfant et la mathématique”,
Traduzione di Maria Pezzella Varcasia, Editore Boringhieri, 1972 (pp.
260)
Nella Prefazione all’edizione italiana di Liliana Ragusa Gilli si
legge: “[…] Si tratta del resoconto di un esperimento presentato non con
materiale o schede da poter usare in una sterile imitazione, ma con una
relazione del lavoro svolto in Francia in due scuole primarie, una di
Grenoble e l’altra di Chambéry. Per la scuola di Chambéry si fa preciso
riferimento allo svolgimento di alcuni argomenti; possiamo ben dire che
si entra nelle classi e si assiste ad alcune lezioni «di ricerca»; per
la scuola di Grenoble, invece, si illustrano e documentano le reazioni
dei singoli allievi, non tanto dal punto di vista dell’apprendimento
matematico, quanto da quello dell’evoluzione psicologica. A questo
proposito l’autrice non pretende che la sua opera possa avere un valore
statisticamente valido (non è il caso di parlarne con un campione di
venti bambini!), ma vuole dimostrare con uno studio di tipo clinico, in
base ai progressi realizzati nella conoscenza dello sviluppo psicologico
del bambino, come l’insegnamento della matematica non sia fine a sé
stesso, ma si inserisca compiutamente nel quadro dello sviluppo armonico
della mente in tutti i campi, compreso quello affettivo. Si deve perciò
parlare […] di pedagogia della matematica. Infatti una delle due ipotesi
che sono alla base di quest’opera è pedagogica: «L’insuccesso in
matematica non è imputabile ai bambini, ma al metodo d’insegnamento: si
deve trovare il modo di evitarlo.» […] La scuola primaria è ormai la
base di una scuola di massa e in essa i bambini devono conquistare non
gli strumenti per un lavoro immediatamente successivo, ma gli strumenti
logici necessari ad affrontare altri studi inseriti in un mondo sempre
più mutevole.
L’insegnamento della matematica nella scuola primaria è tradizionalmente
insegnamento di tecniche di calcolo nel sistema decimale e di
risoluzione di problemi tipo: alla loro base c’è, più che riflessione,
uno stimolo, una parola chiave che non può che portare alla risposta che
ci si aspetta. Si tratta perciò di un vero e proprio condizionamento,
non di attività matematica. […] La strada che si deve prendere è quella
di basarsi essenzialmente sulla psicologia dell’apprendimento e su una
profonda trasformazione del pensiero matematico.
Il criterio didattico seguito nell’esperimento qui descritto è
essenzialmente basato sulla tecnica della scoperta. Ogni situazione
matematica è un gioco, cioè regole ben precise e convenzioni,
rispettando le quali si può cercare la verità.
Niente di più appassionante di una libera attività della mente, che
permette al bambino di aprirsi e di gioire delle proprie scoperte […]
La seconda ipotesi posta dall’autrice è che nella mente di ogni bambino
ci siano dei nessi logici, indipendenti dalla particolare situazione
momentanea, che non aspettano altro che di entrare in azione; e tanto è
più facile che questo avvenga quanto più la situazione presentata è
lineare e sgombra da qualunque richiamo di tipo affettivo o concreto.
Quindi, via i gattini, le casette o le storielle di mamma orsa che ha
perso i suoi orsacchiotti, ma lavoriamo su materiale astratto, fino ad
arrivare ad avere disegni solo mediante crocette o punti. Non è vero che
i bambini rifiutino le convenzioni; le accettano e le rispettano fin da
piccolissimi, quando giocano al «dottore» o decidono che uno di loro è
il babbo: finché il gioco durerà difficilmente dimenticheranno
l’etichetta che si sono assegnata.
È così che in una situazione estremamente pura, libera da agganci al
concreto, entrano più facilmente in azione i nessi logici, comuni a
tutti i bambini, qualunque sia la loro estrazione sociale o il loro
bagaglio di esperienze […]”
Il libro si rivolge agli insegnanti e a tutti coloro che sono
interessati a conoscere le descrizioni, effettuate dal punto di vista
pedagogico e psicologico, degli esperimenti compiuti a Grenoble e a
Chambéry negli anni scolastici 1966-67 e 1967-68. |