Angelo
Guerraggio, Pietro Nastasi, “MATEMATICA IN CAMICIA
NERA – Il regime e gli scienziati”, 2005 Paravia Bruno Mondadori
Editori (Pagine: 279)
Questo libro è dedicato alla Matematica e ai matematici italiani nel
periodo tra le due guerre mondiali.
Nel Prologo viene presentata, in modo organico, la Matematica
italiana degli anni relativi al primo mezzo secolo dell’Italia come
Stato Unitario, periodo di intensi sforzi “per raggiungere standard di
vita e indici economici vicini a quelli degli Stati più evoluti, in una
continua rincorsa dovuta a una partenza ritardata e alla disomogeneità e
arretratezza di vaste aree, che danno un carattere territorialmente
limitato alla base industriale.” Affronta notevoli tensioni sociali e
conosce la crisi economica dell’ultimo quarto di secolo; affronta le
avventure coloniali nell’Africa orientale e riprende un buon ritmo dello
sviluppo agricolo e industriale negli ultimi anni del secolo fino al
1908. E il boom di quest’ultimo decennio riguarda anche la matematica
dato che il 1908 rappresenta l’anno del quarto Congresso internazionale
dei matematici a Roma.
All’inizio del
Novecento la vivacità della Matematica italiana è notevole. “I
contributi nei vari campi di ricerca, il livello raggiunto nel
ranking internazionale e, ancora, la rapidità con cui una simile
posizione è stata ottenuta sono tutti elementi fortemente positivi.“ In
una disciplina che comincia a differenziare in modo sensibile i diversi
ambiti di ricerca non è facile segnalare un lider maximo, ma si
reputa doveroso citare
prioritariamente, quale figura eminente per la Matematica italiana a
cavallo fra Otto e Novecento, Vito Volterra, sia per la sua
autorevolezza scientifica in un’area a cavallo tra analisi e fisica
matematica, sia per il prestigio di cui gode anche al di fuori dei
confini nazionali, sia, infine, per la sua infaticabile attività
pubblica (politica, organizzativa e divulgativa).
L’Italia figura ancora al terzo posto, all’inizio degli anni venti,
negli appunti di Birkhoff, un matematico statunitense, particolarmente
interessato alla realtà europea. A suo avviso, Roma è il secondo centro
mondiale dopo Parigi.
Gli autori descrivono, in modo attento e particolareggiato, come si è
formata nelle sue strutture concettuali, nella sua organizzazione e a
livello istituzionale quella matematica che ha poi decisamente orientato
gli sviluppi della seconda metà del secolo e anche quelli attuali. “Gli
anni trenta sono stati, nel mondo, anni di grande matematica. Sono nate
nuove discipline e nuove teorie e, per molte altre, si sono poste le
premesse dirette degli sviluppi moderni. […] L’evoluzione del concetto
di modello è stata particolarmente accelerata. La certezza
della matematica ha acquisito nuovi significati.”
I matematici sono stati una delle punte più significative
dell’intellettualità italiana e lo studio delle loro vicende, umane e
culturali, apporta nuovo materiale documentario all’analisi dei rapporti
tra cultura e politica.
Anche nella storia della Matematica italiana tra le due guerre mondiali
ci sono matematici che identificano il loro potere con la gestione della
situazione esistente e che si trasformano in Yes-men e in burocrati
sostenitori dell’establishment, ma ci sono anche altri matematici che
sanno resistere alle tentazioni di coinvolgimento in un potere a loro
moralmente estraneo.
Benché sia impresa ardua descrivere la Matematica (del periodo storico
considerato dagli autori), per lo specialismo dei suoi vari linguaggi e
nonostante Weyl abbia ammesso che nessuno è in grado di scrivere una
storia della matematica del XX secolo, gli autori hanno mirato a una
descrizione autentica, con nomi e cognomi, seguendo la classica
tripartizione ottocentesca, concentrando l’attenzione su geometria,
analisi e fisica matematica.
Negli anni venti e trenta, la scuola italiana di geometria algebrica è
rappresentata da Francesco Severi e da Federigo Enriques e dai loro
manuali. “L’incapacità di prolungare lo stato di grazia di inizio
secolo, con nuovi risultati originali, è il sintomo più chiaro che
l’edificio innalzato dai geometri italiani avrebbe ora bisogno di una
nuova «tecnologia» per continuare a crescere”. Francesco Severi conosce
i nuovi linguaggi algebrici e funzionali, ma non riesce a porli al
centro della sua ricerca, come elemento propulsivo; gli italiani
vengono, così, accusati di scarso rigore e si giungerà nel 1954
all’aspra polemica contro Francesco Severi da parte di Samuel e Weil
durante il Congresso internazionale di Amsterdam.
Ora, l’Analisi italiana (che prima si identificava con Vito Volterra) è
rappresentata soprattutto da Tonelli e Picone. Inoltre è alla scuola di
Picone che si formano Caccioppoli, con cui rinasce in Italia l’interesse
per l’analisi funzionale e Cesari, che soprattutto nel dopoguerra sarà
uno dei matematici italiani più stimati in sede internazionale.
La fisica matematica viene identificata con la figura di Levi-Civita e
viene sottolineato l’alto impegno di tale personaggio per la diffusione
e l’interpretazione delle nuove idee (si pensi alla relatività) che
mutano, in questi decenni, il volto della fisica.
Tra il 1940 e il 1946 muoiono Volterra, Levi-Civita, Enriques e Tonelli;
solo Severi e Picone sopravvivono alla fase della seconda guerra
mondiale e saranno loro a costituire la principale linea di continuità
della nuova Matematica italiana, con quella degli anni venti e trenta.
I fili conduttori presenti in questo volume sono i seguenti:
1)
la valutazione dello stato della Matematica italiana
2)
la descrizione dei suoi principali attori
3)
le esternazioni dei matematici e i rapporti della disciplina con
il contesto socio-politico.
È
stata, dunque, inserita l’analisi di tali rapporti nella più generale e
discussa questione delle interazioni tra cultura e fascismo. L’analisi
del mondo matematico ha offerto nuovo materiale e spunti di riflessione
e, giustamente, una sintesi dei rapporti tra cultura e politica in
Italia, nel ventennio fascista, non può prescindere dal prendere in
attenta considerazione le culture scientifiche.
Gli esempi più illustri di matematici fascisti, che hanno espresso il
loro consenso al regime, sono quelli di Severi e Picone. Altri, come
Volterra e Levi-Civita, si sono dichiarati antifascisti, ma mancano
quegli episodi di esplicita resistenza, che si incontrano, invece, nella
Matematica francese. Insomma, anche i matematici imparano la retorica
ripetitiva del “fascistese” e si adeguano al codice particolare esibito
nella sfera cerimoniale.
Va ricordato che da parte del regime ci sono stati atti politici che
hanno coinvolto anche la matematica (ad esempio il giuramento del 1931,
di cui si parla nel capitolo 6 e le leggi razziali, a cui è dedicato il
capitolo 8)
Si può parlare di tentativi, da parte del fascismo, di promuovere una
“via fascista” della matematica solo (e limitatamente) in due casi:
1) quando esso preme a favore di una “matematica applicata”, che
risponda concretamente ai bisogni del Paese, contro una cultura sterile
di intellettuali isolati nel loro mondo astratto
2) quando Mussolini trasforma la statistica, avendone compreso
l’importanza quale instrumentum regni.
Il
fascismo, comunque, non ha il tempo (15-20 anni sono stati un periodo
troppo breve) per elaborare una sua propria posizione in tema di ricerca
matematica.
Appare,
dunque, problematico attribuire al fascismo la responsabilità del
declino della Matematica italiana, rispetto al periodo aureo a cavallo
tra Otto e Novecento e rispetto
alle scuole nazionali più influenti
del periodo. Tali responsabilità sono da individuarsi piuttosto nel
fatto che nei decenni venti e trenta l’Italia è uno Stato giovane, con
un patrimonio scientifico limitato in qualche “punta”, privo delle
necessarie infrastrutture culturali e sociali che trasformino il
fenomeno isolato in una regola.
Appare chiaro che gli autori si sono occupati di esplorare il mondo
scientifico da cui direttamente deriviamo (per meglio comprendere
l’oggi, cioè l’epoca in cui viviamo) cercando di capire quali sono le
leve che possono esaltare o deprimere un tessuto scientifico, in una
situazione storica cronologicamente vicina alla nostra.
Comunque, giungono alla conclusione che, dopo l’esperienza del fascismo,
in Italia la figura del matematico è costituzionalmente diversa da
quella che risultava prima del ventennio. Non si accettano invasioni di
campo: anche i matematici devono rimanere al loro posto e pensare a
dimostrare teoremi, perché il ruolo dirigente spetta alla classe
politica. Nella struttura accademica non c’è posto per il dissenso e il
ruolo del docente universitario è quello di fedele funzionario dello
Stato e la sua autorevolezza è sempre più un’investitura dall’alto
grazie ai meriti acquisiti in termini di obbedienza. È con tale eredità
che la nuova Italia, alla fine della seconda guerra mondiale, deve fare
i conti.
Note sugli autori
Angelo Guerraggio è docente di Matematica generale e di Metodi
matematici per l’analisi economica presso la Facoltà di Economia
dell’Università dell’Insubria di Varese e l’Università “Bocconi” di
Milano. I suoi interessi di ricerca, i suoi libri e le sue pubblicazioni
riguardano la programmazione matematica e la storia della Matematica. È
coordinatore del Centro Pristem-Eleusidell’Università “Bocconi” e
codirettore della rivista trimestrale “Lettera Matematica Pristem”. Per
Bruno Mondadori dirige la collana “Matematica e dintorni”.
Pietro Nastasi insegna Storia delle Matematiche all’Università di
Palermo.Dirige la rivista “Pristem/Storia. Note di Matematica, Storia,
Cultura”. Tra le sue pubblicazioni: Gentile e i matematici italiani.
Lettere 1907-1943 (con A. Guerraggio, Bollati Boringhieri, Torino
1993); Scienza e razza nell’Italia fascista (con G. Israel, il
Mulino, Bologna 1998); Aspetti di Meccanica e di Meccanica applicata
nella corrispondenza di Tullio Levi-Civita (1873-1941) (con R.
Tazzioli, Quaderni Pristem 2003). |