Il libro
comprende:
- il Prologo,
- diciotto capitoli,
- la Cronologia degli avvenimenti narrati,
- la cronologia delle Dinastie cinesi,
- il Glossario,
- le Note e, infine,
- le Fonti e indicazioni bibliografiche.
L’autrice racconta, in modo avvincente, ma conservando
obiettività e attenendosi a una rigorosa documentazione, la
vita di Matteo Ricci, con una ricchezza di particolari
davvero stupefacente.
La fonte principale di questa biografia è costituita dalla
storia compilata da Ricci stesso e dalle lettere che scrisse
dalla Cina ai suoi superiori e parenti.
IL lettore può, così, seguire la straordinaria e umana
avventura di chi ha dedicato la propria vita alla diffusione
della scienza europea in Cina, convinto che l’interesse per
la cultura occidentale potesse agevolare l'evangelizzazione
degli intellettuali.
Matteo Ricci, nato il 6 ottobre 1552 a Macerata, era il
primogenito di una numerosa famiglia che contava, oltre a
lui, quattro sorelle e otto fratelli. I Ricci appartenevano,
da secoli, alla piccola nobiltà maceratese e Matteo fu
avviato agli studi di giurisprudenza che decise di
abbandonare, per entrare nell’ordine dei gesuiti e per
seguire il piano di studi previsto per gli appartenenti a
tale ordine: due anni di retorica, tre di filosofia e tre di
teologia. La preparazione culturale dei gesuiti era vasta,
anche se strumentale: per loro il sapere era un’arma da
usare a difesa della Chiesa.
Il maceratese condivideva pienamente il punto di vista del
gesuita tedesco Christoph Klau (1537-1612), noto con il nome
umanistico di Christophorus Clavius, italianizzato in
Cristoforo Clavio, astronomo e matematico di grande valore,
professore al Collegio Romano dal 1563. Era stato proprio
Cristoforo Clavio a convincere i colleghi a inserire
aritmetica, algebra e geometria nei programmi di studio
dell'Università gesuita, nella convinzione che la matematica
rappresentasse un prerequisito fondamentale per apprendere
le altre scienze e le discipline applicate.
Il 24 marzo 1578 Ricci partì, come missionario, per l'India
e il 13 settembre 1578 giunse a Goa, dove ebbe modo di
rendersi conto che la popolazione induista e musulmana
veniva spinta alla conversione con la coercizione e la
forza.
Come Cristoforo Clavio era stato la figura di riferimento
per gli studi matematici a Roma, il gesuita coordinatore
delle missioni in Asia, Alessandro Valignano, rappresentò il
suo mentore per il lavoro missionario in Cina.
Per incrementare le conversioni, Alessandro Valignano aveva
prefigurato la seguente strategia di lungo termine: i
missionari dovevano imparare la lingua del paese in cui
avrebbero svolto la loro opera, studiandone i costumi,
adattandosi alle usanze locali e rispettando le tradizioni
indigene, a meno che non fossero inaccettabili per la morale
cristiana.
Arrivato in Cina, Ricci seppe attenersi scrupolosamente a
tale politica missionaria, indicata con il termine
"accomodamento", o "adattamento culturale".
Per ottenere i favori dei funzionari cinesi, egli aveva
portato con sé, tra l'altro, orologi meccanici e "un vitrio
triangular di Venezia", precisamente un prisma di vetro a
base triangolare, che esposto ai raggi del sole sprigionava
tutti i colori dell'arcobaleno.
Seppe dedicarsi con impegno allo studio del mandarino (la
lingua parlata dalla classe colta) e, dopo quasi un anno di
permanenza a Zhaoqiung, era già in grado di parlare il
cinese senza interprete.
Dotato di un non comune talento per le relazioni sociali e
di una memoria prodigiosa (riusciva a ricordare fino a
cinquecento caratteri cinesi, dopo averli letti una sola
volta), vantava anche un'approfondita conoscenza della
matematica, dell'astronomia e della geografia. Studiò anche
i Quattro Libri di Confucio, trovando notevoli analogie tra
la morale confuciana e i principi dell'etica occidentale;
definiva Confucio "un altro Seneca".
Iniziò l'evangelizzazione della Cina, intraprendendo
un'ammirevole attività di divulgazione scientifica.
Poiché nelle carte geografiche cinesi non erano
rappresentate l'Europa e l'America, Ricci trovò il modo di
far accettare una più realistica rappresentazione della
Terra, rinunciando, molto diplomaticamente,
all'eurocentrismo dei mappamondi occidentali, per collocare
al centro della sua carta l'Asia, con le Americhe a destra e
l'Europa e l'Africa a sinistra. Agendo in tal modo,
concedeva alla Cina una posizione privilegiata, pur
rispettando le sue reali proporzioni rispetto agli altri
paesi.
Siccome il suono della lettera "R" era sconosciuto in Cina,
il cognome Ricci diventava "Li", mentre il nome "Matteo" si
trasformava in "Madou" e tutti, anteponendo il cognome al
nome secondo l'uso cinese, chiamavano il gesuita "Li Madou",
appellativo con cui egli è, ancora oggi, ricordato in Cina e
in Giappone.
Quando il cinese Qu Taisu si rivolse a Ricci per imparare i
segreti dell'alchimia, sua grande passione, il gesuita gli
dichiarò che non gli avrebbe insegnato i segreti della
trasformazione degli elementi, bensì una disciplina che lo
avrebbe aiutato a coltivare la propria mente: la matematica.
Gli insegnò, così, il calcolo scritto, grazie al quale si
potevano compiere operazioni aritmetiche più complesse di
quelle consentite dall'abaco. Tale metodo occidentale venne
presto chiamato dai cinesi "calcoli con il pennello".
In epoca Ming la matematica era considerata una forma di
conoscenza di valore inferiore rispetto a quella letteraria
e la scienza in generale attraversò una fase di declino
rispetto al passato.
Ricci non sapeva che la ricerca matematica in Cina si era
distinta in epoche passate, quando gli studiosi cinesi
avevano anticipato, in più occasioni, i loro colleghi
occidentali. (Uno dei tanti primati cinesi sull'Occidente
era stato il calcolo del "pi greco", il numero decimale
illimitato che fornisce il rapporto tra la circonferenza e
il diametro di un cerchio. Un matematico cinese del VI
secolo, insieme con il figlio, era riuscito a calcolarne un
valore approssimato fino alla decima cifra decimale, con una
precisione che, in Occidente, nessuno seppe superare per
undici secoli.).
Il gesuita illustrò a Qu Taisu , che si era appassionato
alla matematica occidentale, gli Elementi di Euclide
nella traduzione latina di Clavio.
In seguito, Matteo Ricci arrivò a tradurre, insieme ad amici
cinesi, le opere di Clavio, per spiegare agli intellettuali
i concetti e i metodi della matematica europea. Nella scelta
del primo testo da proporre al pubblico cinese non ebbe
alcun dubbio: si sarebbe trattato degli Elementi di
Euclide nell'edizione di Clavio. Era davvero un'impresa
titanica preparare una versione cinese degli Elementi,
in quanto dovevano essere tradotti dal latino al
mandarino concetti e metodi di dimostrazione sviluppatisi
nel contesto della cultura greca, lontanissima da quella
cinese. Eppure Ricci seppe trovare le parole più adatte per
descrivere il preciso significato di ogni concetto.
All'inizio del 1607 i primi sei libri dell'opera di Euclide
erano interamente tradotti.
L'edizione cinese completa (che avrebbe conservato, senza
alcuna variazione, la parte tradotta da Ricci insieme con il
cinese Xu Guangqi) sarebbe stata pubblicata nel 1856 grazie
alla traduzione degli altri nove libri, eseguita dal
missionario inglese Alexander Wylie, con l'aiuto del cinese
Li Shanlan.
Troverete le altre numerosissime opere di Ricci descritte,
in modo particolareggiato, nelle pagine del libro.
Sicuramente le osservazioni e le riflessioni di Ricci, anche
se intrise dei pregiudizi del suo tempo, forniscono
un'interessante chiave di lettura anche della Cina
contemporanea.
Matteo Ricci, il pioniere del dialogo tra Cina e mondo
occidentale, morì, dopo nove giorni di malattia, l'11 maggio
1610. Nella sua opera missionaria, egli aveva saputo
affrontare con disinvoltura e competenza ogni difficoltà e
con il suo impegno di divulgatore della cultura occidentale
era riuscito a conquistare l'ammirazione dell'imperatore
Wanli, che gli riservò il privilegio di essere sepolto in
terra cinese.
Il cimitero, circondato da cipressi e da un muro di pietra
chiuso da un cancello, è ancora oggi una piccola oasi di
pace, isolato dalla vita convulsa di Pechino.
Note sull’autrice
Michela Fontana si è laureata in matematica a Milano nel
1976; ha insegnato per otto anni nella scuola e poi si è
dedicata al giornalismo scientifico, vincendo due volte il
premio Glaxo e nel 1990 la Knight Science Jornalism
Fellowships del MIT.
Il libro Percorsi calcolati le è valso
l’International Pirelli Award per la divulgazione
scientifica.
È stata anche Addetto scientifico
all’Ambasciata d’Italia a Ottawa in Canada.
Negli anni scorsi ha vissuto soprattutto all’estero
(precisamente in Canada, in Cina dal 1999 al 2002 e in
Svizzera).
Ha
scritto per molti anni per «La
Stampa » e «Panorama» con i quali continua a
collaborare. |