Più si studia la Matematica
e meno la si capisce?
(Articolo di Giuseppe Ferdinando Ariano)
 

 

In uno scambio di mail nel gruppo sulla COmunicazione ho narrato di un famoso matematico che avrebbe affermato: '' Più studio la Matematica e meno la capisco!''. Ivana Niccolai mi ha fatto notare con il solito garbo che lei non era a conoscenza di un detto simile. Allora (siccome non è donna da prendere alla leggera) mi sono dato da fare per trovare sul web notizie relative a questa massima, ma, ahimè, senza risultato. Sforzando dunque la memoria ho frugato nei recessi della mia mente e mi sono ricordato in quale occasione l'ho sentita per la prima volta. Fu dalla bocca del mio relatore, il quale la attribuiva ad un chiarissimo professore benemerito dell'Università degli Studi di Bari.
In realtà l'ho subito fatta mia, perché ho creduto di afferrare al volo il significato di questa massima.
Già, ma che significa "capire"? Perché, in fondo, anch'io ho ritenuto di aver capito questa massima?
Lo sforzo che compierò in quest'articolo sarà quello di illustrare ciò che ''ho capito del capire''.
Chi ha capito che cos’è un cavallo? Come riconosciamo un cavallo, insomma? La risposta che mi sento di dare è che ne abbiamo visto da bambini un bel po’ e dunque ce ne siamo fatti una rappresentazione mentale con una descrizione schematica del tipo: un animale alto, quadrupede munito di zoccoli, con gambe lunghe e sottili, con una testa oblunga, occhi a palla sui due lati della testa, pelo corto sul corpo, ma molto lungo sulla nuca, detto criniera, una coda molto lunga di peli sottili e fluenti e così via... Dopo un po’ siamo in grado di riconoscere tutti i cavalli del mondo.
Se questo va bene per le cose del mondo reale, che cosa dire per gli enti astratti della Matematica? Prima di tutto vorrei precisare che la Matematica, a differenza di quanto hanno provato a propagandare il bourbakismo ed Hilbert, è sì pensiero che si è astratto dal contesto, ma non può fare a meno del contesto. In altre parole le cose nuove diventano chiare quando sono immerse in ambienti la cui frequentazione è ben consolidata dalla pratica. Basti pensare al numero naturale, poi razionale assoluto, poi relativo, infine reale e complesso, fino ad arrivare ai quaternioni. Oppure ricordiamo anche i modelli di geometria ellittica o iperbolica costruiti con figure della geometria euclidea. Il metodo assiomatico, proprio a partire da Euclide, tanto successo ha riscosso perché gli assiomi traducono proprietà grafico- visive delle figure: retta, piano, circonferenza etc. Basti pensare all’elegante aggiramento del concetto di infinito di quello che adesso viene, in molti manuali della scuola superiore, indicato come secondo assioma della retta: “ogni punto di una retta la divide in due parti dette semirette e il punto in questione si dice origine”. Chiaramente questo va bene per l’idea che abbiamo di retta, ma va benissimo, per esempio, anche per una circonferenza... Di qui infatti l’idea della geometria proiettiva, nella quale, però due rette in un piano hanno sempre un punto in comune. Si capisce meglio la geometria proiettiva se la si immerge nel piano euclideo ampliato con la retta impropria, costituito dal punto all’infinito (la direzione) del fascio di rette parallele ad una data. Quindi due rette parallele hanno sempre un punto (improprio) in comune, anzi, in un processo tipico della Matematica, si può capovolgere quest’assunto facendolo diventare una definizione nella geometria proiettiva.
Tutto ciò è stato premesso per esprimere, con esempi, come per capire gli oggetti della Matematica si abbia bisogno di vari punti di vista o rappresentazioni mentali, l’equivalente del riconoscere il cavallo pur guardandolo da diversi punti di vista.
Qualche altra considerazione: si conosce un numero reale? Se si dovesse farne un discorso di pura teoria dell’informazione, secondo Gregory Chaitin non vi è nulla di più inconoscibile, perché, escluso il caso particolare di un numero algebrico, per cui è pensabile una costruzione con riga e compasso, il numero di byte necessario per esprimere un numero reale è necessariamente infinito, anzi l’unica possibilità per avere una serie di numeri interi completamente casuale è, secondo il nostro, quella di scrivere in successione le cifre della rappresentazione decimale di un numero reale.
Purtuttavia parecchi di noi hanno la percezione (presunzione?) di capire i numeri reali. Da che cosa traiamo questa percezione? Da una parte viene in soccorso l’algebra con la costruzione dei numeri reali a partire dalla teoria assiomatica di Peano dei naturali, poi degli interi e dei razionali con le usuali relazioni di equivalenza su NxN e ZxZ, rispettivamente, ed infine con il passaggio ad R, con le sezioni di Dedekind, semirette di Russell o completamento alla Cauchy. Da un altro lato abbiamo la teoria assiomatica, la quale con i nove assiomi sulle operazioni, i due sull’ordinamento (totale) e quello sulla completezza garantisce che un corpo siffatto è unico a meno di isomorfismi. Da un altro lato ancora la geometria analitica con l’identificazione con una retta fornisce un’ulteriore utile rappresentazione. Ma davvero si può dire di capire i numeri reali, soprattutto con la premessa delle idee di Chaitin? Fuor di metafora: davvero siamo in grado di fornire tutte le rappresentazioni possibili di numeri reali? Sicuramente da questa mia disamina resta fuori la rappresentazione dell’analisi non standard, ma quante altre ne esistono?
Esempio: che cosa rappresenta la figura qui sotto?

Pochi di noi riconosceranno il prodotto 32 x 21, ma questa figura si presta a una rappresentazione e ad un calcolo veloce per quella operazione.
Probabilmente la massima: “Più studio la Matematica, meno la capisco”, allude al fatto che più si avanza nella conoscenza nel campo della Matematica, tanto più si collezionano rappresentazioni mentali di un dato concetto, fino a percepire che ci sarà sempre qualcosa che sfugge, cioè più rappresentazioni mancanti, punti di vista diversi da infinite possibili angolazioni.
Per “capire meglio il capire”, facciamo un giochino di rappresentazione mentale. Naturalmente dovremo fare alcune assunzioni che potrebbero risultare arbitrarie, ma, dopotutto, è solo un giochino...
Immaginiamo che il contenuto di informazione di un ente o un gruppo di enti matematici sia finito e di poter rappresentare questo contenuto con un’area di una figura piana. Un triangolo equilatero, per semplicità, andrà benissimo. Nel caso in cui la quantità di informazione sia infinita, il discorso si potrebbe adattare a tutto il piano. A causa del secondo teorema di Gödel, così come immaginato da Hofstadter, possiamo immaginare che la ricerca di teoremi concernenti l’oggetto si dirami a frattale nel nostro triangolo. Un frattale come la famosa felce andrà benissimo. Immaginiamo che un punto di partenza per la costruzione del frattale rappresenti un punto di vista particolare da cui partire per dimostrare teoremi circa la classe di oggetti. Data l’obbligata finitezza dei punti di vista (abbiamo solo risorse di spazio e di tempo finite), la domanda è: da un numero finito di diversi punti di vista è possibile cogliere tutte le sfaccettature (cioè capire) della teoria? Traducendo questa domanda nella nostra rappresentazione abbiamo: è possibile con un numero finito di frattali ricoprire tutto il triangolo?

Naturalmente, e questo è il bello della Matematica, ammesso che questa mia “visione” sia significativa, fa sorgere mille altre domande. Esempio: è possibile calcolare con la dimensione del frattale verità dimostrabili? Se sì, la risposta alla domanda di sopra non dipenderà sensibilmente dalla dimensione di questo frattale? È possibile che ci sia un intervallo dimensionale in cui la risposta non è calcolabile (se tutto questo ha un senso il dio burlone della matematica sicuramente avrà predisposto così le cose)? Naturalmente le mie domande riguardo ai frattali hanno una valenza scientifica a prescindere dalla rappresentazione che se ne vuole dare. Un poligono è ricopribile con un numero finito di frattali? Dipende dalla dimensione dei frattali? Una risposta è data dalla curva di Peano! Le altre credo siano aperte.

Tutto questo naturalmente non può e non deve farci dimenticare il nostro ruolo di insegnanti. Quali sono le ricadute di queste argomentazioni sulle normali attività didattiche? La metariflessione che abbiamo condotto sul significato di comprensione dà luogo ad alcune considerazioni sul modo di far didattica. A prescindere dalla metodologia usata, inquiry- based learning, costruttivismo, problem solving, apprendimento collaborativo ed altro, bisogna comunque abituare i nostri allievi a considerare molteplici punti di vista per focalizzare i vari concetti, magari riprendendoli alla luce di nuovi fatti e acquisizioni, realizzando il famoso processo a spirale evitando che collassi in un cerchio, peggio, in un punto. Per fare questo, naturalmente sembra necessario individuare dei nuclei fondamentali nella disciplina senza pretesa di esaustività, lasciando alla libera intrapresa dei nostri studenti l’eventuale minuzioso completamento dei contenuti  ritenuti non essenziali.

(Realizzazioni grafiche a cura di Ivana Niccolai)

 

Biblio- sitografia

http://video.google.it/videoplay?docid=4009629064835928534&q=moltiplicazione&total=164&start=10&num=10&so=0&type=search&plindex=9
Douglas R. Hofstadter- Gödel, Escher, Bach: un’Eterna Ghirlanda Brillante. Adelphi 1992 Milano
Benoît B. Mandelbrot Gli oggetti frattali
Forma, caso e dimensione. Einaudi 1987 Torino
Gregory J. Chaitin Casualità e dimostrazione matematica. Le Scienze Settembre 1975
Carl B. Boyer Storia della Matematica Mondadori 1998 Milano